sabato 26 novembre 2011

Una risposta a Mario

Ieri ho “parlato” con Mario ma poteva chiamarsi Maria. Non è importante.
Mario, se vogliamo usare i paradigmi di riferimento di noi insegnanti , è uno studente di fronte al quale anche il più generoso, comprensivo, aperto, lungimirante  docente getterebbe la spugna. Non c’è scuola per Mario. Mario è refrattario alla cultura. Mario è negato per la scuola. Non a caso ha scelto la nostra e non ha caso è ripetente. La soluzione sarebbe la bocciatura definitiva, ovvero  l’espulsione dal sistema formativo.

Ieri è venuto a parlarmi del Parlamento, dei partiti politici, del referendum. E lo ha fatto, studiando a modo suo. Ha studiato ma non ha compreso nulla di ciò che ha trattenuto in mente.  A tratti la sua memoria lo ha tradito e a tratti ha messo insieme parti di discorso che non potevamo stare assieme. Mario ha costruito un pacchetto  di conoscenze completamente inutilizzabili.

È stato sfortunato perchè se solo la sua memoria non l’avesse tradito e si fosse incamminato su  un percorso fluido e coerente, sono certo che egli  avrebbe preso una bella sufficienza con condivisa soddisfazione. Ma anche in quel caso le conoscenze ripetute si sarebbero rivelate inservibili. O meglio servibili per la sufficienza, inservibili per la sua crescita.

Mario ha preso 5, perché se anche non ha capito, questa volta ha studiato. E sono certo che se tornasse a studiare ancora non capirebbe ugualmente. Mario  ieri ha dato alla scuola ciò che poteva dargli. Il suo massimo.

Ma la scuola cosa può dare a Mario?

Un  giorno, con o senza diploma,  sarà un lavoratore che dovrà assumersi anche elementari responsabilità in azienda e sul suo lavoro faranno affidamento altre persone;  sarà un padre con tutte le responsabilità che questo ruolo comporterà, sarà un cittadino che dovrà esprimere un voto politico e contribuire a scegliere la classe dirigente del Paese. Ecco chi sarà Mario. E la scuola a questo Mario dovrà pensare. Ma il destino scolastico di Mario non è già segnato?

4 commenti:

  1. Partirei dall'ultima riflessione. Occorre dare ad ogni studente dei compiti che ognuno di loro in ragione del proprio potenziale debbono sforzarsi di risolvere. Se operiamo in questa direzione non ci saranno compiti facili o difficili perché ogni compito per lo studente avrà il suo buon grado di difficoltà. Ma il compito in cosa può e deve consistere? nella consueta domanda di riepilogo delle conoscenze incamerate? o peggio nella produzione scritta e/o orale imparata per l'occasione a pappagallo? Il compito di verifica, a mio parere, deve essere strutturato in modo da collocare dentro un contesto ed una situazione reale lo studente, il quale con le conoscenze e le abilità che abbiamo contribuito a generare deve essere in grado di interpretare e trovare le vie di uscita. Insomma dobbiamo dare loro problemi da risolvere.

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  2. Proposta: che ne dite di fare una prova che coinvolga diverse discipline e che il ragazzo possa svolgere anche facendo ricerche su internet?
    Ottima una wikipage per questo lavoro. Un documento a più mani in cui ognuno deve aggiungere la sua parte.Pensiamoci.

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  3. Va benissimo, ma ognuno può iniziare da solo per prendere dimestichezza con la modalità didattica che proponi che si chiama WEBQUEST e che deve seguire alcune regole costruttive.
    Questa brava signora ce le ha indicate:
    http://www.bibliolab.it/wquest_lalicata1/00001.html

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  4. Anche io ho un Mario in ognuna delle mie classi e finalmente ho il coraggio di dargli un COMPITO IN CLASSE diverso dagli altri nonostante non abbia certificazioni, nonostante molti colleghi sostengano che il COMPITO IN CLASSE DEBBA ESSERE UGUALE PER TUTTI. Oggi penso che il compito in classe "uguale per tutti"debba essere una prova che abbia l'obiettivo di far "bruciare a tutti la stessa quantità di calorie" nella preparazione e nello svolgimento della prova.Non abbiamo un contacalorie, ma noi prof. sappiamo benissimo fare i nostri calcoli in questo senso. Di cosa abbiamo paura? Di dare un diploma a chi ha imparato solo la frase minima? Sinceramente mi vergogno molto di più nel sentire ragazzi diplomati con bellisimi voti che vanno dicendo che per loro, grazie a delle buone capacità personali e un po' di furbizia,la scuola è stata una passeggiata,che hanno studiato pochissimo e non si sono mai dovuti impegnare più di tanto. Un'ultima riflessione...chi si troverà meglio ad affrontare i sacrifici che un lavoro comporta come umiltà, dedizione, superamento dei propri limiti anche a costo di grandi sacrifici?
    26 novembre 2011 18:06

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