lunedì 5 novembre 2012

No, caro Lodoli! di Maurizio Tiriticco


da http://www.edscuola.eu/wordpress/?p=12532]

No, caro Lodoli!
di Maurizio Tiriticco

Non è affatto vero che ormai l’Umanesimo sia giunto alla sua fine! Almeno così si esprime il titolo de “la Repubblica” di ieri 31 ottobre! E a caratteri cubitali! Vado a vedere l’incipit e leggo che una professoressa lamenta di non esistere più, di essere diventata invisibile! “Entro in classe, comincio a spiegare e subito mi accorgo che nessuno mi ascolta!… La mia voce non gli arriva, parlo e vedo le parole che si dissolvono nell’aria e dopo un poco mi sembra che anch’io mi dissolvo”. Mi chiedo: la stessa cosa non potrebbe dirla anche la professoressa di matematica? E allora anche la cultura scientifica si sarebbe dissolta? Ma che test è, caro Lodoli? Due insegnanti che insistono nel fare la lezione di sempre possono costituire un test per saggiare lo stato della cultura e della ricerca nel nostro Paese? Non viene in mente alla nostra collega che forse è la sua lezione che ammorba e non i contenuti che intenderebbe “trasmettere”? Lo so che un vecchio e stantio adagio considera la cultura come un qualcosa che si trasmette e che l’insegnante sarebbe il mezzo per questa trasmissione! Ma è proprio così? Forse una volta poteva essere così! L’alunno era un numero riportato su un registro, braccia conserte su un banco scomodissimo, grembiule nero e fiocco bianco, zitto e mosca, come si suol dire. E l’insegnante che in/segna, che lancia parole che dovrebbero segnare la testa dell’alunno! E poi interroga per verificare che ciò che ha detto sia stato debitamente segnato, registrato, restituito! La scuola di un tempo, della cattedra e dei banchi, di chi parla e di chi ascolta! Ma è proprio vero che questo modello di scuola sia ancora valido e produttivo? Sempreché lo sia stato anche nel passato? Alla tua professoressa, di lettere o di matematica, non viene in mente che anche le cose più interessanti del mondo, quando dette e raccontate, possano solamente annoiare e ammorbare?

Molti anni fa l’unico modo per accedere a un qualcosa di culturale era la scuola: giornali, riviste, libri erano solo per pochi; e non c’era né radio ne telefono né la televisione! E neanche la luce elettrica! E l’Umanesimo, quello della nostra proff, riguardava più o meno l’un per cento della popolazione. Se il 90% della forza lavoro – appena 100 ani fa – attendeva al lavoro dei campi, che necessità aveva di leggere, scrivere e far di conto? Le tecniche di lavorazione erano trasmesse praticamente di padre in figlio! E l’analfabetismo raggiungeva quote percentuali altissime! E l’Umanesimo? Ma che roba è? Finalmente venne la scuola! E insegnare a leggere e scrivere, trasmettere cultura e “fare lezione” erano forse funzionali a quel contesto socioculturale assolutamente deprivato, ma oggi?! Tutto è profondamente cambiato! Tutto soprattutto nella testa, negli atteggiamenti e nei comportamenti dei nostri ragazzi, esposti quotidianamente a stimoli di diversa natura e di forte impatto! Come possiamo pensare che a scuola si possa tenere una lezione come si poteva e, forse, si doveva fare un tempo? Lo spazio vitale di un tempo era piccolo piccolo! Anche per me negli anni Trenta dello scorso secolo l’Africa e l’America erano terre lontane, immaginate e sognate! Le coordinate spazio-temporali in cui si muovevano i nostri nonni erano estremamente ristrette: la stessa Milano era lontana da Roma anni luce; e il tempo o era quello di ieri o quello della storia raccontata dai libri, o meglio dai libri di testo che spesso erano gli unici che “abitavano” in una casa! La lezione cattedratica era qualcosa di insolito, di nuovo, a volte anche di coinvolgente! Ma oggi? Quanti sono gli stimoli a cui sono esposti i nostri ragazzi? Lo spazio soprattutto sembra non avere più confini e Sharm el Sheik è alla portata di mano! Un tempo a volte si viveva un’intera vita senza avere mai visto il mare!

E allora di che si lamenta la nostra professoressa di lettere? L’Umanesimo è morto perché una classe intera si abbiocca costretta ad ascoltare le sue parole? Non andiamo oltre a scomodare i massimi sistemi! Non è morto l’Umanesimo! Non è morta la ricerca scientifica! E’ morto un modello di scuola! E’ morto un modello di insegnamento! Non le viene in mente che la cultura non si trasmette, ma si sollecita, si accende, si provoca, si fa costruire, si costruisce insieme? Si è mai chiesta la proff di Lodoli che cosa sia la didattica laboratoriale? Non sta a me entrare nel merito! Ma sia le Indicazioni nazionali che le Linee guida – le conosce la nostra proff? – ne parlano diffusamente! E dovrebbero porre qualche interrogativo alla nostra proff! Che si lamenti di meno e che si aggiorni di più! E impari a stabilire rapporti diversi con i suoi alunni! E vedrà che saranno capaci di appassionarsi! Purché i nostri ministri la piantino di tagliare fondi alla scuola di cui , invece, ha un estremo bisogno! Anche per aggiornare la nostra proff!


(1.11.2012)

Addio cultura umanista: per i ragazzi non ha senso. Marco Lodoli


 http://www.repubblica.it/speciali/repubblica-delle idee/edizione2012/2012/10/31/news/addio_cultura_umanista_per_i_ragazzi_non_ha_senso-45646258]


Addio cultura umanista: per i ragazzi non ha senso
di Marco Lodoli

Noi insegnanti parliamo di autori e temi che ai giovani sembrano polverosi e malinconici. È come se l’oceano di passato che ha tenuto insieme generazioni non riuscisse ad arrivare al presente. Non è detto però che il disinteresse per la tradizione sia una pura sciagura


“IO NON ESISTO più, sono diventata invisibile”, mi dice una professoressa con la voce spezzata e gli occhi umidi. “Entro in classe, comincio a spiegare e subito mi accorgo che nessuno mi ascolta. Nessuno, capisci? E così per giorni, mesi, forse per tutto l’anno. La mia voce non gli arriva, parlo e vedo le parole che si dissolvono nel-l’aria, e dopo un poco mi sembra che anch’io mi dissolvo, resta solo un senso di impotenza, di fallimento”. Quante volte negli ultimi anni ho raccolto dai miei colleghi sfoghi di questo genere: professori di lettere, storia, filosofia, arte che si sono ben preparati per la loro lezione e che finiscono a parlare nel vuoto, come radioline lasciate accese in un angolo, e a poco a poco si scaricano, si spengono malinconicamente. Perché accade questo, perché sembrano saltati i ponti e le rive si allontanano sempre di più? A riguardo mi sono fatto un’idea.

Finita, esaurita, muta, forse non proprio morta e sepolta ma di sicuro messa in cantina tra le cose che non servono più: la cultura umanista sembra aver concluso il suo ciclo, ai ragazzi non arriva più niente di tutto quel mondo che ha ospitato e educato generazioni e generazioni, che ha prodotto una visione del mondo complessa eppure sempre animata dalla speranza di poter spiegare tutto nel modo più chiaro, adeguato alla mente dell’uomo, alle sue domande, ai suoi timori. Finito, possiamo mettere una pietra sopra alla filosofia greca, alla potenza e all’atto, alla maieutica e all’iperuranio, alla letteratura latina, alla poesia italiana da Petrarca a Luzi, al pensiero cristiano e a quello rinascimentale, con le loro differenze e le loro vicinanze, ai poemi cavallereschi e agli angeli barocchi, all’idealismo tedesco e al simbolismo francese, a Chaplin e Bergman, Visconti e Fellini: è tutto precipitato giù per le scale buie della cantina, tutto scaraventato alla rinfusa nel deposito degli oggetti perduti. È chiaro che da qualche parte, in un eccellente liceo classico, esiste e resiste un ragazzo che legge Platone, scrive sonetti, suona il violino e studia la pittura di Raffaello, la vita per fortuna si diversifica per avanzare. Ma per la stragrande maggioranza dei ragazzi di oggi tutto il patrimonio culturale del nostro paese non significa più niente. È un universo in bianco e nero, malinconico, pensante e dunque pesante, polveroso come una parrucca. E non serve che gli adulti lo lucidino per farlo apparire più vivo: se brilla lo fa come una bara.

È così, c’è poco da fare, l’oceano del passato non arriva più a lambire la spiaggia del presente. Anche Huckleberry Finn rifiuta la storia di Mosè e della manna nel deserto quando scopre che Mosè è morto da secoli, della gente morta un ragazzo non sa che farsene, dice Huck e forse ha ragione. Ma per la mia generazione, e quella di mio padre, e quella di mio nonno - e più indietro non vado - il passato non era un tempo che svaniva insieme ai foglietti del calendario. Certi morti non erano mai morti. Fossero gli eroi greci o quelli del Risorgimento o Che Guevara, fosse Mozart o John Coltrane o Luigi Tenco, i grandi continuavano a vivere nell’immaginazione e nella riconoscenza dei ragazzi. Una catena d’acciaio o una ghirlanda di fiori univa il meglio al meglio, la bellezza alla speranza, la forza alla fiducia. Leggevo Dostoevskij e Tolstoj come se fossero dei fratelli maggiori, non li collocavo nel regno cupo dei morti, le loro parole erano vive, non sussurrate da un tempo lontanissimo fino a perdersi nell’incomprensibilità. E i quadri di Bellini e quelli di Morandi entravano a far parte dello stesso museo interiore, ogni giorno una nuova opera si sistemava su una parete vuota: e le pareti erano infinite, come le meraviglie del passato.

Oggi i ragazzi non si voltano più indietro, gli prende subito la tristezza perché alle spalle avvertono solo un cimitero degli elefanti. La vita è adesso, qui e ora, e poi di nuovo qui e ora, e quello che è stato è stato, e tutte le chiacchiere dei vecchi sono fumo nel vento. Il presente si nutre di se stesso, digerisce se stesso e va avanti. L’arte, il pensiero, la letteratura dei secoli andati è lenta, è puro impedimento vitale, ruminamento in epoca di fast food. Naturalmente anche la politica esce con le ossa rotte dalla fabbrica delle nuove produzioni mentali e sentimentali: anche la politica è fumo nel vento. Questa è la stagione del desiderio, dell’onnipotenza tecnologica, dei corpi che vanno più veloci del pensiero, è la stagione del disprezzo verso ogni forma di misura, di armonia, di compostezza classica, di ragionamento lento e articolato. Sillogismi, rime, consonanze, prospettive, equilibri, riflessioni sulla miseria e la grandezza dell’uomo: via, giù tra le macchine da cucire e il cinema muto, tra i libri dei poeti e i fiori secchi. La cesura è netta, un taglio secco, del passato non si recupera quasi nulla, la cultura umanista finirà tutta quanta in una bella mostra a Roma o a Firenze, e ci sarà la fila per ammirare il cadavere mummificato: ma i ragazzi stanno tutti altrove, davanti a qualche schermo acceso, su qualche aereo che vola sul mondo, in un futuro che allegramente, superbamente, se ne frega di ciò che è stato e che non sarà mai più.

Non è detto che questo dichiarato disinteresse per la tradizione sia una pura sciagura. Il mondo cambia di continuo, a volte lentamente, per passaggi quasi impercettibili, a volte in modo brusco, in una sola stagione, in un minuto. I nostri ragazzi leggono altri libri, ascoltano altra musica, amano e odiano in un altro modo, ragionano seguendo strade invisibili, e noi adulti non dobbiamo solo rimproverarli perché non conoscono Cechov o Debussy, Pasolini o Bob Dylan. Dobbiamo invece assolutamente capire dove stanno andando, perché ci salutano senza nemmeno voltarsi, perché non si fidano più della nostra cultura. Oggi loro sentono che la vita è altrove e la memoria non basta a reggere l’urto con le onde fragorose del mondo che sarà, che è già qui: serve energia, e quella non la trovi più nei cataloghi e nei musei.


(31.10.2012)