venerdì 30 dicembre 2011

La Valutazione delle Competenze: condizione necessaria per le Aule Digitali.



Si è appena concluso, a  Rimini, il Convegno Cl@ssi 2.0: Cambia la scuola che cambia. L’iniziativa ministeriale Classi 2.0 ha già un anno di vita ed ora si amplia fino a raggiungere 416 classi e oltre 10.000 studenti. Per ognuna di queste Classi è previsto un cospicuo finanziamento, dai 15 ai 30.000 euro, per l’acquisto di PC, di Lavagne Interattive Multimediali e di attrezzature varie: il tutto a supporto dell’Ambiente di Apprendimento e delle relative e prioritarie scelte metodologiche. In molti altri paesi ci sono iniziative, in atto o concluse anche da tempo,  analoghe al progetto Classi 2.0 e per le quali sono disponibili in letteratura ampie analisi strutturate. Ma se queste sono azioni importanti e organiche, che prevedono un PC per studente e docente, spesso distribuite su grandi aree e addirittura, come nel caso delle Classi 2.0, sull’intero paese, esistono mille altri tentativi, meno strutturati, di introdurre le tecnologie nelle aule.
A fronte di tanto dinamismo informatico, è d’obbligo far tesoro dei risultati sia delle sperimentazioni in atto sia di quelle già concluse. Non vorremmo che la Scuola, che sta accelerando il processo di informatizzazione delle aule, anche se all’apparenza in ritardo rispetto ad altri settori, venisse presa dall’ansia dello strumento tecnologico e si prodigasse in sforzi addirittura controproducenti. Seeing no progress, some schools drop laptops (non vedendo progressi, alcune scuole gettano via i computer),  così titola il New York Times nel maggio 2007 commentando l’esperienza settennale delle scuole di Liverpool, uno dei primi distretti di New York ad aver sperimentato l’introduzione massiva delle tecnologie in aula, e che a fronte dei palesi insuccessi decide di fare dietrofront.
Alcune criticità  sono abbastanza trasversali a tutte le sperimentazioni. La prima, e forse la più importante, è che alcune famiglie riscontrano scarsi risultati negli apprendimenti dei loro figli nonostante il dispiego di mezzi e risorse. I ragazzi hanno lavorato in aule riccamente dotate di attrezzature tecnologiche, si sono cimentati in attività didattiche innovative, hanno visto i loro docenti profondere notevole impegno anche per aggiornarsi, ed i risultati sono paragonabili o forse inferiori a quelli dei loro coetanei impegnati in aule ed attività tradizionali. Come si spiega?
Crediamo che il dubbio vada risolto velocemente, anche in vista di sperimentazioni future. Il problema vero è che i ragazzi delle Aule tecnologiche sono generalmente valutati sui contenuti disciplinari, utilizzando metodiche tradizionali. Il confronto con i loro coetanei, fruitori di una didattica trasmissiva tradizionale, è impari: i coetanei sono allenati durante tutto l’anno per le prove con le quali vengono valutati.
Se l’integrazioni delle tecnologie con il curriculum è fatta in modo adeguato, i ragazzi fruitori delle Aule digitali sviluppano una serie di competenze, digitali e non, la cui valutazione deve essere compresa ed evidenziata nel giudizio complessivo. Una corretta integrazione presuppone generalmente forme di didattica attive, centrate sull’alunno, idonee a favorire lo sviluppo delle competenze. Un alunno di una classe tecnologica, di fronte alla richiesta di come sta andando, potrebbe rispondere più o meno così, “Sto andando bene nei contenuti ma ho bisogno di migliorare la mia comunicazione orale. Ho una buona capacità di impostare e gestire i progetti ed anche le mie capacità critiche sono piuttosto forti però debbo imparare a collaborare meglio con i miei compagni…”
Chi si è cimentato nello svolgimento di progetti  complessi, o anche in attività più semplici ma autentiche, facendo uso delle tecnologie in questo caso indispensabili, sviluppa una serie di apprendimenti che senza trascurare i contenuti disciplinari vanno a toccare gli aspetti comunicativi, collaborativi, di pensiero critico, di problem solving, le competenze digitali etc.: questo patrimonio fondamentale deve essere valorizzato con valutazioni adeguate. Se rappresentiamo gli apprendimenti di questo alunno con la solita riga di voti basata sulle valutazioni disciplinari, che appare nei tabelloni di fine anno, facciamo un’operazione scorretta ed il “genitore quadratico medio”, che soprattutto su quella riga si concentra non potrà che giudicare fallimentare la sperimentazione messa in atto. In merito facciamo nostro e proponiamo come grande monito il pensiero di Chris Dede:
L’ostacolo più  forte al progresso in ambito educazionale è l’utilizzo di un sistema di valutazione che privilegia la misurazione dell’alunno sulle conoscenze di base ma  che non è in grado di valutare l’alunno nelle performance intellettuali e psicosociali complesse … (Dede, 2010)
E in questa direzione ci spinge anche la normativa che prevede per gli studenti, al termine della scuola dell’obbligo, la certificazione delle competenze. In particolare Il modello, unico su tutto il territorio nazionale, richiede che siano certificate le competenze dei quattro assi culturali  “con riferimento alle otto competenze chiave di cittadinanza”: imparare ad imparare, progettare, comunicare, collaborare e partecipare, agire in modo autonomo e responsabile, risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni, acquisire e interpretare l’informazione.
E’ chiaro, e non ci stanchiamo di ripeterlo, che richiedere la certificazione delle competenze presuppone l’averne, in precedenza, favorito lo sviluppo. E questo non solo nel biennio delle superiori ma durante tutti gli anni dell’obbligo scolastico. Insomma il momento della certificazione deve confermare il raggiungimento di competenze sviluppate lungo un percorso che ha attraversato tutti gli anni della scuola dell’obbligo. L’operazione è complessa e rappresenta il fulcro del cambiamento di paradigma, anche parziale, da una scuola trasmissiva e centrata sul docente ad una di taglio costruttivista e centrata sullo studente. Su questo ci stiamo cimentando e questo sappiamo essere il vero snodo che può decretare il successo di tante sperimentazioni in atto, comprese quelle delle Aule digitali.
Il problema è  di quelli veri, o come si dice in gergo, di quelli autentici. Dunque non ci sarà una soluzione unica, il metodo sarà per approssimazioni successive ed anche i piccoli e parziali risultati saranno importanti. Ad ogni livello verranno sviluppate competenze che dovranno essere valutate. Pena la delusione delle famiglie ma pena soprattutto la delusione degli alunni che non vedranno premiati i loro sforzi. Ma come valutare queste competenze, anche solo parziali?
Non pretendiamo certo di affrontare il problema nella sua complessità. Le nostre considerazioni si basano su un'esperienza concreta, Lepida Scuola, condotta per un quinquennio e che oggi vede impegnati in una didattica di taglio costruttivista-costruzionista, soprattutto per problemi e progetti, oltre duecento docenti provenienti da scuole di ogni ordine e grado della Regione Emilia Romagna.
Un soggetto dotato di adeguate competenze è in grado di erogare una prestazione significativa; una prestazione significativa è indice della presenza di competenze adeguate. Insomma le prestazioni e le competenze sono intimamente connesse. Dunque la valutazione delle competenze può essere  effettuata attraverso la valutazione delle prestazioni: un individuo possiede determinate competenze solo se in grado di eseguire prestazioni che per essere portate a termine richiedono quelle competenze.  
Il problema di “come valutare le competenze” equivale a quello di “come valutare le prestazioni”: problema affrontato con successo nell'ambito della valutazione autentica.  Ma come rendere misurabile quanto, a prima vista, pare discostarsi grandemente dal concetto di misura così come inteso in ambito fisico? A nessuno di noi passa per la testa di rispolverare il concetto di misura quando dobbiamo esprimere un parere sull'esecuzione di una rappresentazione teatrale, di un brano musicale, di una relazione orale, di una sfilata di moda, di un’esecuzione di danza etc. Eppure in tutti questi casi noi, inconsciamente o meno, scomponiamo il giudizio in una serie di sottogiudizi: della grandezza finale andiamo a prendere in considerazione una serie di parametri, a partire dai quali riusciamo ad avere un giudizio olistico definitivo. Proseguiamo nell’analogia con la Fisica. Quando caratterizziamo un sistema fisico cominciamo con la misura delle principali grandezze che lo descrivono. Ad esempio misuriamo le lunghezze, la temperatura e se ci sono dei corpi in movimento ne misuriamo la velocità e la posizione. Dall’insieme delle misure di queste grandezze otteniamo una caratterizzazione del sistema: una valutazione. Analogamente quando dobbiamo valutare delle prestazioni, individuiamo delle grandezze che le caratterizzano e delle regole per misurarle, troviamo cioè quelli che in letteratura si chiamano “performance criteria” ossia dei criteri per le prestazioni.
Le Rubric sono lo strumento principe per valutare prestazioni complesse: graficamente si presentano come schede organizzate su diverse righe che corrispondono agli elementi in cui è stata scomposta la prestazione. Per ogni elemento c'è una scala di misurazioni che descrivono i livelli di prestazione attesi e per garantire un buon livello di misurabilità i livelli sono espressi in termini di azioni e comportamenti: le grandezze veramente osservabili di una prestazione (Zecchi, 2004).
Non vogliamo addentrarci ulteriormente sulla tematica che necessita di ben altri spazi. Quello che ci preme ribadire è che valutazioni non adeguate di studenti di Aule digitali possano portare a ritenere scarsi o addirittura fallimentari i risultati di sperimentazioni anche ben congegnate e progettate. Valutazioni coerenti ed adeguate, quelli delle competenze soprattutto, sono complesse ma certamente possibili.

Bibliografia
Dede, C. (2010). Reflections on the draft National Educational Technology Plan 2010.  Educational Technology 50(6), p.20
Zecchi, E. (2004). Le rubric. Per una valutazione autentica in classe. Le Rubric


Appendice A1
Allegato n.2 del Documento tecnico.
Competenze chiave di cittadinanza da acquisire al termine dell’istruzione obbligatoria.
L’elevamento dell’obbligo di istruzione a dieci anni intende favorire il pieno sviluppo della persona nella costruzione del sé, di corrette e significative relazioni con gli altri e di una positiva interazione con la realtà naturale e sociale.
Imparare ad imparare: organizzare il proprio apprendimento, individuando, scegliendo ed utilizzando varie fonti e varie modalità di informazione e di formazione (formale, non formale ed informale), anche in funzione dei tempi disponibili, delle proprie strategie e del proprio metodo di studio e di lavoro.
Progettare: elaborare e realizzare progetti riguardanti lo sviluppo delle proprie attività di studio e di lavoro, utilizzando le conoscenze apprese per stabilire obiettivi significativi e realistici e le relative priorità, valutando i vincoli e le possibilità esistenti, definendo strategie di azione e verificando i risultati raggiunti.
Comunicare o comprendere messaggi di genere diverso (quotidiano, letterario, tecnico, scientifico) e di complessità diversa, trasmessi utilizzando linguaggi diversi (verbale, matematico, scientifico, simbolico, ecc.) mediante diversi supporti (cartacei, informatici e multimediali) o rappresentare eventi, fenomeni, principi, concetti, norme, procedure, atteggiamenti, stati d’animo, emozioni, ecc. utilizzando linguaggi diversi (verbale, matematico, scientifico, simbolico, ecc.) e diverse conoscenze disciplinari, mediante diversi supporti (cartacei, informatici e multimediali).
Collaborare e partecipare: interagire in gruppo, comprendendo i diversi punti di vista, valorizzando le proprie e le altrui capacità, gestendo la conflittualità, contribuendo all’apprendimento comune ed alla realizzazione delle attività collettive, nel riconoscimento dei diritti fondamentali degli altri.
Agire in modo autonomo e responsabile: sapersi inserire in modo attivo e consapevole nella vita sociale e far valere al suo interno i propri diritti e bisogni riconoscendo al contempo quelli altrui, le opportunità comuni, i imiti, le regole, le responsabilità.
Risolvere problemi: affrontare situazioni problematiche costruendo e verificando ipotesi, individuando le fonti e le risorse adeguate, raccogliendo e valutando i dati, proponendo soluzioni utilizzando, secondo il tipo di problema, contenuti e metodi delle diverse discipline.
Individuare collegamenti e relazioni: individuare e rappresentare, elaborando argomentazioni coerenti, collegamenti e relazioni tra fenomeni, eventi e concetti diversi, anche appartenenti a diversi ambiti disciplinari, e lontani nello spazio e nel tempo, cogliendone la natura sistemica, individuando analogie e differenze, coerenze ed incoerenze, cause ed effetti e la loro natura probabilistica.
Acquisire ed interpretare l’informazione: acquisire ed interpretare criticamente l'informazione ricevuta nei diversi ambiti ed attraverso diversi strumenti comunicativi, valutandone l’attendibilità e l’utilità, distinguendo fatti e opinioni.

giovedì 29 dicembre 2011

A scuola di coraggio

Gli insegnanti dovrebbero avere più coraggio.
Il cambiamento non avviene più (come nei passati decenni) attraverso indicazioni e disposizioni dall’alto, peraltro fortemente criticate e avversate. Con la scuola  dell’autonomia (1999) i Collegi dei Docenti sono stati chiamati ad una forte assunzione di responsabilità che al momento non  non si è tradotta in apprezzabili risultati di sistema.
Se iniziassimo a chiederci a cosa servono le discipline che giornalmente insegniamo ai nostri allievi e tentassimo noi stessi di formulare una risposta che volutamente allontani da sé la vaghezza, l’indeterminatezza e  l’astrazione (il tutto chiuso dentro la magica parola cultura) e provassimo, per una sola volta, a trovare chiari e precisi riferimenti a problemi di vita quotidiana e alle loro soluzioni, già solo questo sarebbe un atto rivoluzionario.
Un tempo si diceva impara l’arte e mettila da parte. Ancora oggi è valida questa affermazione. Ma cos’altro è l’arte se non competenza? Purtroppo il grande sforzo che abbiamo compiuto in tutti questi anni è stato solo quello di generare conoscenze disancorate dallo loro spendibilità e una conoscenza che non genera competenza è completamente inutile e destinata ad essere velocemente dimenticata.
In Collegio dei Docenti, ci  siamo assunti due obblighi. Il primo, ope legis, è quello di passare dalla scuola delle conoscenze a quella della competenze, l’altro , di utilizzare le nuove tecnologie per disegnare un nuovo setting d’aula e verificare la possibilità di apprendimento secondo l’approccio costruttivista e quindi alternativo alla lezione frontale.
Entrambi si fondano sulla necessità di riformare i paradigmi dell’educazione, su cui la brava Gina Lipparelli ci ha invitato ad un’attenta riflessione con il video inserito nel blog
Sarò noioso ma la posta in gioco non è l’uso della LIM o di altra diavoleria tecnologica ma il raggiungimento delle otto competenze chiave di cittadinanza che non fa male ripetere, perché in maniera chiara ci indicano il percorso educativo che dobbiamo intraprendere: imparare ad imparare, progettare,comunicare, collaborare e partecipare, agire in modo autonomo e responsabile, risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni, acquisire ed interpretare l’informazione.

Come fare?
Ognuno di noi, singolarmente per iniziare, in gruppo nella fase successiva, cominci a fornirsi di un repertorio di casi concreti, problemi da risolvere, situazioni da descrivere e contesti operativi.
I repertori sono materia viva che ogni insegnante  potrà condividere con gli altri arricchendolo di volta in volta . Tre sono i  repertori da creare:
  1. il primo riferito al lavoro in classe e al contesto scuola;
  2. il secondo riferito al lavoro a casa e al contesto habitat in generale (famiglia, tempo libero, sport ecc.)
  3.  il terzo, quando possibile, riferito alla realtà lavorativa in cui l’allievo è inserito sia in alternanza sia in tirocinio;
I repertori sono un insieme di casi concreti o problemi da risolvere a cui i nostri allievi devono dare la soluzione grazie alle conoscenze apprese o ad un lavoro di ricerca anche e soprattutto attraverso la rete. 

domenica 18 dicembre 2011

A tutti i colleghi vi giro, da parte della prof.ssa Nanni, questo sito che parla della nostra scuola. Leggi l'articolo

Libri fai da te? ...una grande opportunità

Ben venga la proposta dei "libri fai date" che potrebbe persino realizzare due distinti obiettivi oltre a quello,ovviamente , di un sostanziale risparmio per la famiglie. E già solo questo, sappiamo quanto sia importante.
Il primo obiettivo è quello, finalmente, di cucire addosso ai nostri allievi il sussidio più utile ai fini del raggiungimento delle competenze attese; l'altro, invece, è quello di gettare una ventata di ossigeno ri-motivazionale addosso ai tantissimi e bravissimi colleghi che in gruppo potrebbe davvero spendere quell' enorme esperienza che hanno accumulato negli anni e sul campo e, quindi, travasarla in strumenti didattici capaci di superare, facendo meglio e di più, quanto proposto spesso genericamente e ancor più sterilmente dalle case editrici.
Se l'obiezione è quella riferibile alla possibilità di approfondimenti o accessi a documenti originali riprodotti, ebbene, non è inutile ricordare che un sussidio scolastico edito dagli stessi docenti si può arricchire senza fine dalla possibilità di aggiungere link di riferimento con cui accedere in rete, da casa o da scuola, capaci di completare, attualizzare e approfondire  qualsiasi percorso proposto.

mercoledì 14 dicembre 2011

Mi piace segnalare e condividere con voi un'esperienza estremamente interessante.
Il nuovo corso della scuola italiana riparte dal Sud, da Brindisi, dall’esempio virtuoso dei “libri fai da te”, scritti dai docenti e stampati in aula, prezzo di copertina cinque euro. Per la prima visita istituzionale in una scuola italiana, il ministro dell’istruzione Francesco Profumo ha scelto tutt’altro che a caso l’Itis Majorana del capoluogo messapico, presidio di resistenza ai tagli e alla crisi che non risparmia il mondo dell’istruzione. Leggete tutto l'articolo

venerdì 9 dicembre 2011

Armando Persico, professore europeo dell'anno.

Bergamo, 23 ottobre 2011 - Piccoli imprenditori crescono. Non è il titolo di un libro, ma solo l’inizio di una storia che parte dalla cattedra di Economia Aziendale dell’Imiberg-istituto Maria Immacolata di Bergamo e arriva fino al Parlamento Europeo. Il protagonista di questa storia si chiama Armando Persico, ha 43 anni e appunto insegna Economia Aziendale nell’istituto di via Santa Lucia. Laureato in economia e commercio, dal 1991 è docente in materie giuridico-economico-aziendali ; dal 1994 ha assunto l’incarico di vicepreside dell’Imiberg; dal 2002 quello di dirigente scolastico e responsabile per l’Istituto tecnico commerciale e dal 2004 è responsabile dei progetti speciali della scuola superiore e dei rapporti internazionali. Un’attività nella quale i ragazzi dell’Imiberg, guidati dal loro professore, hanno inanellato una serie di notevoli successi. Tanto che quest’estate Persico, nell’ambito della Competizione europea delle giovani imprese, è stato insignito del titolo di “European teacher of the year” (“Professore europeo dell’anno”) per i suoi straordinari meriti didattici, per quelle doti umane, per l’entusiasmo che infonde nei suoi allievi, i quali sono diventati imprenditori ottenendo numerosi riconoscimenti, grazie anche all’impegno del loro docente, volto a promuovere e sviluppare le potenzialità di ogni ragazzo. Per questo motivo il professore bergamasco è stato invitato dalla Commissione Europea alla European Sme Week, una settimana dedicata alle piccole e medie imprese che si è appena conclusa a Bruxelles. Come si diventa Professore Europeo dell’anno? «Una volta laureato, come tanti miei colleghi, si sono aperte alcune alternative professionali: la consulenza come dottore commercialista e l’insegnamento. Con gli anni è cresciuta la passione di trasmettere qualcosa di importante ai giovani, non parlo soltanto di contenuti, ma soprattutto si tratta di ispirare uno sguardo positivo sulla realtà e su di sé» Non tutti i suoi alunni però saranno degli allievi modello, come si fa a tirar fuori il talento? «Il talento emerge solo se si danno ai ragazzi tutte le occasioni per scoprirlo. Bisogna osservarli a 360 gradi, non basarsi solo sui risultati scolastici ma guardare oltre. Per motivare i ragazzi sono poi utili esempi concreti, quindi cerco di far loro incontrare testimonianze di imprenditori che hanno piena coscienza della dignità del lavoro».

lunedì 5 dicembre 2011

Seymour Papert

Lo psicologo sudafricano Seymour Papert ha scritto che quando le tecnologie in classe vengono usate solo per procedere a un restyling delle pratiche tradizionali si ottiene il risultato di concepire lo studente come una "macchina che risponde" e l'apprendimento come una "pillola amara" da addolcire con giochi e divertimento.

domenica 4 dicembre 2011

giovedì 1 dicembre 2011

Web 2.0 for schools ....
Non perdiamo questa opportunità. So che non è facile imparare ed insegnare allo stesso tempo. Non so per voi, cari colleghi della cl@asse 2.0, ma per me è così. Ci sono momenti in cui cerco disperatamente di capire perchè ci sono cose che non mi portano ai risultati sperati nonostante i miei sforzi e vorrei che qualcuno mi desse delle risposte e mi dicesse cosa fare. Vorrei avere le certezze che avevo una volta, quando attribuivo i fallimenti ad un libro noioso, ad un lettore CD che non funzionava e dicevo sempre "ma certo che molti non sono interessati..non ho gli strumenti". Come tutto era più facile per me! Ora che ho tutto e di più, smart board, laptop,internet, stampante, armadi ed un tecnico che corre ad ogni nostro dubbio o problema, non ho più scuse per gli insuccessi di alcuni ragazzi e spesso non mi resta che prendermela con loro che in fatto di alibi, sono spesso molto generosi....Poi però, ho imparato che mi basta cercare articoli e pubblicazioni varie sul web di persone che stanno facendo la stessa esperienza in altri paesi per ritrovare la carica e ripartire. Credo proprio che la chiave del successo sia questa: cercare aiuto, consiglio e scambiarsi opinioni ed esperienze senza cercare qualcuno che ti dia la soluzione ma fare insieme questo cammino per sostenersi e consigliarsi. I problemi, sono sicura, diventeranno più piccoli e la nostra amicizia più grande. Un'ultima cosa, date un'occhiata agli aggettivi della foto che ho scelto...se è vero che i nostri ragazzi diventeranno così meravigliosi, come possiamo pensare di ottenere tutto questo senza soffrire??? =)))